L’anno volge al termine, ma per ogni buon rievocatore l’anno ha una diversa scadenza: inizia come gli antichi all’arrivare della primavera per le uscite, ricomincia all’autunno per la ricerca. Non c’è niente da fare, siamo fatti così.
Per noi poi arriva la voglia di poter stare insieme senza l’assillo di montare il campo, far andare il fuoco per la cucina, preparare gli armamenti, sfilata, battaglia, didattica, vai vai corri c’è da fare; abbiamo voglia di stare insieme in allegria, ma condividendo quella passione per la Storia che ci ha fatto incontrare.
Così decidiamo di prendere al balzo una delle giornate che il MIBAC (Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo) organizza per sponsorizzare la Cultura nel nostro paese: musei statali gratis. Lasciamo tranquilli nelle mani di Dark Alice l’organizzazione e la pianificazione del tutto e aspettiamo con ansia le sue dritte. Si parte alla mattina presto in treno per Bologna e siamo come un’allegra scolaresca in gita scolastica con gli insegnanti poco più grandi degli studenti. Non c’è freddo e un bel sole ci accompagnerà per tutta la giornata. Immancabilmente nel nostro bel vagone iniziamo a pianificare i lavori della stagione che verrà, buttare giù qualche idea per le prossime Mansio on Tour e valutare quale museo è obbligo vedere a breve. L’assemblea generale di qualche settimana prima ci ha ben caricati e l’umore è alto. Buona cosa.
Arriviamo a Bologna in perfetto orario e il nostro primo contatto indigeno è pronto e scattante per portarci alla Pinacoteca Nazionale. Peccato che ci perdiamo per Bologna tempo cinque minuti dopo aver passato il mercato della Montagnola (no, non fate gli spiritosi). Eppure pur perdendoci Bologna ci accoglie con le sue bellezze e non possiamo fare altro che guardarci attorno stupiti e meravigliati.
Giriamo attorno per una buona mezz’ora, ma veniamo premiati non trovando la Pinacoteca ma entrando per richiamo di un custode a vedere la cappella Bentivoglio nella Basilica di San Giacomo Maggiore. E qui dentro i rievocatori si dividono dai giovani e dai sodali: per loro vedere il particolare, capire il materiale, valutare le tecniche e le scelte stilistiche diventano un vero momento di goduria. Non c’è niente da fare, perché anche se non è il tuo periodo storico la curiosità ti spinge a capire come sono i tagli degli abiti, quali colori sono stati usati per la tintura, perché quel tipo di armatura sì mentre l’altro no, ma quel gancetto in cuoio lì a che serve?, insomma tutte domande normali per noi rievocatori e se non ci avessero richiamato all’ordine saremmo ancora lì (forse ci avrebbero dato le chiavi per chiudere) per cercare di capire quel particolare minimo che normalmente la gente non nota. Bologna comunque mostra il suo lato più nascosto o meglio ci fa capire che nello Stato Pontificio la Dotta non era l’ultima avanguardia di un confine abbandonato: è ricca, non solo per la sua università, non solo per la cultura, ma per la sua ricchezza e gli abiti lo dimostrano. Mentre i libri di testo ci raccontano di Milano e Ferrara, Bologna non è da meno e non ha alcuna voglia di farcelo dimenticare.
Tornando su via Zamboni continuiamo a chiederci cose, parlare di fonti, dirci scemate. La fame inizia anche a fare capolino, perché la camminata ci sta stimolando bene. Dopo aver di nuovo girato, alla fine arriviamo al portone del museo. Chiuso. Come? Crediamo di essere stati ingannati da noi stessi, ma invece il nostro istinto templare ci ha evitato di perdere tempo davanti all’incomprensibilità della burocrazia italiana: il museo (nella giornata nazionale dell’apertura gratis dei musei) avrebbe aperto solo nel pomeriggio. Evitiamo i commenti e vista l’ora del desinare ci accingiamo a trovare un posto per mangiare. Ci manca l’altra guida indigena e quindi ci fidiamo solo della nostra stanchezza, della giovane mascotte che abbiamo (il figlio di una componente della gita) e ci fermiamo in una deliziosa trattoria con cucina tipica lucana. Anche questa volta l’istinto non sbaglia e mentre ci gustiamo degli ottimi piatti iniziano ad arrivare dopo il lavoro l’agente templare in terra felsinea e il suo omologo ospitaliere. La compagnia è stata ricomposta e siamo pronti per il museo.
Il primo corridoio è quello che ci vede già in fermento e facciamo tappo. Sono i reperti del Duecento, ce ne sono pochi, ma quelli che ci sono sono interessanti e pieni di spunti. La giornata è poi propizia per “insegnare” ai nuovi come ragioniamo e come ci confrontiamo sempre di fronte alle fonti: nessuno di noi ha la verità in tasca, ognuno di noi per carattere e passioni si occupa di un determinato settore della Storia, poi il confronto e la logica ci fa mettere insieme le conoscenze e arriviamo sempre a un “proviamo” o a un “chi lo sperimenta per primo?”.
Ogni tanto ti volti e ti accorgi che la gente ti ascolta e cerca di capire chi siamo e cosa stiamo dicendo. Credo che sia un’esperienza comune a tutti i rievocatori in giro per musei,i quali hanno il brutto vizio di parlare a voce alta e confrontarsi citando cose e fatti; personalmente a me questa situazione mi fa sempre piacere non tanto per gloria personale, ma perché la gente è curiosa di capire e sentire e sapere più di quanto le misere didascalie dicano sui vari reperti.
Il museo è ampio, ma le sale procedono spedite una volta che abbiamo superato il ‘300. Malgrado la stanchezza inizi a farsi sentire, non è scemato l’umore, anzi lo stimolo collettivo non solo fa girare meglio le cellule cerebrali, ma anche aumenta il buon umore. E con quello di solito anche le scemate! E’ meglio uscire dal museo!
All’uscita il gruppo si divide, purtroppo qualcuno deve tornare a casa. Dispiace, ma gli obblighi non sono mai belli in gita, quindi baci abbracci e tanti auguri per il nuovo anno e i restanti si dirigono a passo svelto verso Santo Stefano.
C’è un sacco di gente, è sabato pomeriggio, c’è il presepe da guardare, non so, ma davvero sembra di essere all’entrata di un concerto. Non so se gioire o meno. Noi nel frattempo riusciamo a perderci fra di noi: i ritmi si sono fatti più lenti; in qualcuno la stanchezza ha preso il sopravvento; in altri c’è sempre la voglia di vedere quel sasso o quel reperto là in fondo. Però ci fermiamo estasiati di fronte alla riproduzione medievale del Santo Sepolcro. Il medioevo è anche questo: il viaggio fisico e metafisco, l’unire gli spazi e i tempi, avvicinare il mare a chi non potrà attraversarlo, portare i luoghi santi all’interno dell’Europa. Il medioevo è commistione e condivisione, è potenza ed elevazione, è luce ed ombra. Noi come i nostri avi ci sentiamo travolti e sconvolti da quella chiesa così diversa ed evocativa posizionata nel bel mezzo della Pianura Padana?
Fra pensieri, silenzi e chiacchiere Dark Alice riesce a ricompattarci (bravissima!) e via di nuovo di corsa verso San Petronio. Non si può venire a Bologna e non passare nella chiesa del patrono della città, non tanto per una questione devozionale, quanto per il forte legame che unisce quel santo alla sua città d’adozione. In più è obbligo passare a vedere la cappella Bolognini per poter apprezzare a pieno l’affresco che la rende davvero unica nel suo genere. L’audioguida che si può prendere con il prezzo del biglietto per visitare la cappella è un valido supporto per ben comprendere la storia della stessa, ma soprattutto degli affreschi che vedono alla sinistra dell’entrata il Paradiso-Purgatorio-Inferno e alla destra la vita dei Magi.
Rimaniamo in silenzio a osservare i particolari e forse invidiamo quei rievocatori quattrocenteschi che con solo due cappelle possono riuscire a ricostruire molto della vita della loro città.
Usciamo che oramai è buio e stavolta con calma ci riavviciniamo verso la stazione, fermandoci in Piazza Maggiore per un attimo e quattro chiacchiere, per un buon aperitivo lungo la via e poi una volta giunti ai treni per i saluti di rito. La giornata è stata splendida in ogni suo aspetto, pensiamo mentre il treno ci riporta nella nostra Parma. Il confronto che ha nell’amicizia (nuova o consolidata non importa) la sua sede migliore, porta a sopportare fatiche e disagi, ma sappiamo sempre che anche passare una buona gitarella senza pensieri solleva l’animo e fa comparire il sorriso sul volto.
Ah! Fermi! Non potevamo non pensare ai nostri amici Ghibellini in terra di Bologna!